
In Italia sono 7 milioni. Un’utenza che impone una figura di giocatore virtuale più «soft» e meno «smanettona ». Di quegli 80 milioni, infatti, 74 sono composti da over 30.
La maggior parte sono impiegati, che hanno vissuto l’alba del computer, ma che hanno ancora vivo il ricordo dei giochi di società. Si gioca per divertirsi, ma così facendo si abbassa la tensione. Un gesto che non è sfuggito ai ricercatori della East Carolina University. Loro il fenomeno lo hanno studiato «scoprendo — dice il professor Carmine Roussillon — che questi giochi hanno un valore terapeutico». E come nella scopa, anche qui il gioco è un pretesto per intrecciare amicizie. L’ultima frontiera del «casual game» è il «social». Si tratta di siti dove l’utente può costruirsi un «avatar», ovvero un proprio profilo. E così si gioca e ci si conosce. Magari per ritrovarsi alla sera davanti a un bicchiere di vino, rosso e per nulla virtuale.
