
Gli indizi sono molteplici, e basta collegarli per avere uno scenario più che plausibile anche se certo non atteso nell’immediatezza. Partiamo da Niels Provos, brillante informatico tedesco alle dipendenze di Google che ha pubblicato un documento molto dettagliato dal titolo “Il fantasma nel browser”, e non certo a titolo personale. Si tratta di un’analisi condotta con le infrastrutture di Google - che quindi pochi, se non nessuno al mondo, possono avvicinare per potenza e versatilità - su quattro milioni e mezzo di pagine Web, che ha formalizzato le conclusioni da tempo sostenute dagli esperti di sicurezza: un buon 10% delle pagine Web visitate conteneva script per installare codice maligno su macchine vulnerabili (cavalli di Troia, spyware e adware vari, per menzionarne qualcuno), e poco meno del 20% contiene codice sospetto o non direttamente identificabile.
