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martedì 6 novembre 2018

Possiamo davvero usare lo smartphone per “leggere” la nostra salute mentale?

Una app promette di rivoluzionare trattamento e diagnosi dei disturbi mentali “leggendo” il nostro smartphone.
Ma non spiandoci: osservando solo come lo usiamo, andando a caccia di marcatori digitali di stati emotivi e mentali.
Tra possibilità e diversi limiti oggi

Si chiama Mindstrong, è un’app, e sta facendo un gran parlare di sé. In buona parte perché tra i suoi ideatori figura Tom Insel, psichiatra a capo del National Institute of Mental Health per 13 anni, successivamente inglobato in Verily di Alphabet (ex Google Life Science).
Non esattamente un signor nessuno ecco. Insel e i colleghi dietro a Mindstrong sono convinti che la loro app potrebbe rivoluzionare il trattamento delle malattie mentali e magari un giorno aiutare anche la diagnosi delle malattie mentali.
Come? Sostanzialmente spiando le persone, in maniera continua, e radunando informazioni preziose sulle loro funzioni cognitive e sul loro umore, attraverso il monitoraggio e la registrazione di tutti i dati relativi a come digitano cifre e lettere sul telefono, se compiono errori, come scrollano pagine ed app, quanto si soffermano sui nomi della rubrica.
Dati passivi, ribadiscono di Mindstrong (per inciso: non accessibile se non tramite codice, quindi non a tutti) nell’idea che questi svelino informazioni preziose sugli stati emotivi e sulla salute mentale della persona.

Quanto parla il nostro smartphone di noi?
L’idea di Insel e colleghi non è di certo nuova.
Il filone del digital phenotyoping – l’ipotesi secondo cui la nostra vita digitale, tracciata più o meno attivamente, soprattutto attraverso wearable e smartphone, dica molto di noi, anche sul nostro stato emotivo e sulla nostra salute – è ormai quasi vecchia.
Ma ancora perfettamente in salute, almeno a giudicare dalla produzione della letteratura in materia e dal fiorire di app, algoritmi o iniziative che mirano a tracciare profili o identificare comportamenti a rischio.
O più in generale a dar senso a tutta la nostra vita digitale: cosa diciamo, più o meno coscientemente, quando parliamo, quando scriviamo, quando ci muoviamo, quando giocherelliamo con il nostro smartphone?

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