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lunedì 24 novembre 2008

PC Magazine lascia la carta In Usa dal 2009 solo online


Carta stampata addio. In tempi di magra sparisce dalle edicole americane un'altra storica rivista, PC Magazine, da 27 anni punto di riferimento per tutti gli appassionati di informatica a stelle e strisce. E sono due, in meno di quindici giorni, le testate che abbandonano la carta.

Dopo l'annuncio di un altro celebre giornale americano, il Christian Science Monitor, che da aprile prossimo si concentrerà esclusivamente sull'online, l'editore di PC Magazine, Ziff Davis Media, ha infatti reso noto che quello di gennaio prossimo sarà l'ultimo numero del prestigioso periodico ad andare in stampa: dal 2009 gli abbonati potranno consultare la rivista solo online. A precisare i motivi della scelta, e le novità che aspettano i lettori, ci ha pensato Lance Ulanoff, responsabile editoriale della testata con una lettera aperta a tutti i lettori. Lo stesso amministratore delegato della società poi, Jason Young, ha rilasciato un'intervista radio in cui aggiunge: "La maggior parte degli editori, oggi, sarebbero costretti a tagliare il 30% dei posti di lavoro per fare quello che noi faremo a gennaio lasciando a casa solo 7 dipendenti su 200".

Dalla bancarotta al "Tutto digitale". E dire che solo a giugno del 2008 la Ziff Davis Media era sull'orlo del fallimento. Non fosse stato per il giudice newyorkese, Burton Lifland, che ne ha invece confermato il piano di risanamento salvandola dalla bancarotta. E quindi? Conti alla mano è proprio Jason Young a ripetere che quella dell'"All-digital" ("Tutto digitale") è la strada. Ancor più, sembrerebbe, dopo averla scampata grossa da poco. "Più dell'80 per cento dei guadagni provengono infatti dall'online - ha affermato il numero uno della società - e circa il 70 per cento del fatturato ruota intorno alla piattaforma Web del gruppo", aggiungendo che "il magazine potrebbe risultare in attivo nel 2008, ma sono state preventivate perdite per il 2009 sulla base di un minor gettito pubblicitario, della crescita dei costi, e del calo degli abbonamenti".

Come se non bastasse la diffusione è passata da un massimo di 1milione e 200mila copie degli anni '90 fino a raggiungere le 600mila copie circa del 2007, mentre nel terzo quarto del 2008 la versione online della rivista ha registrato un incremento del 18 per cento.

Una situazione che di fatto ha costretto la società a ripercorrere una strada per altro già intrapresa da altre testate dello stesso settore come MacUser e MacWeek: offrire ai propri lettori lo stesso prodotto, ma solo online in versione PDF. C'è ancora qualche dubbio sul perché? E' lo stesso Young a chiarirlo ancora una volta: "Fin dal 2000 abbiamo notato come chi compra tecnologia usa internet per informarsi ed è lì che chi fa marketing dirige la sua sospesa e cerca di rafforzare il suo marchio".

La profezia di Meyer. Secondo Philip Meyer, uno dei più noti studiosi dell'editoria americana, l'ultima sgualcita copia su carta del New York Times sarà acquistata nel 2043. Sarà. Ma non è detto che la previsione non debba essere rivista anticipando la data fatidica. Se questo dell'abbandono della carta è infatti un fenomeno in atto per periodici e quotidiani di settore come PC Magazine, anche i grandi dell'editoria classica non sembrano passarsela meglio.

La stessa "Dama grigia", come viene chiamato confidenzialmente il New York Times, da alcuni anni sta vivendo una profonda crisi. Secondo Zdnet, nel terzo quarto del 2008 i ricavi del quotidiano più importante degli Stati Uniti hanno registrato una flessione del 9 per cento: dai 754 milioni di dollari del 2007 ai 687 milioni di dollari di quest'anno sullo stesso periodo con una perdita pari a 67 milioni di dollari. La pubblicità è calata in generale del 16 per cento sulla carta ed è cresciuta soltanto del 6,7 per cento nell'online. Insufficiente per riparare alle perdite del cartaceo. A settembre è andata leggermente meglio: il calo è stato "solo" del 14 per cento e la crescita online è stata dell'11,7 per cento.

E se per il New York Times non sono tutte rose e fiori, tanto da non sapere per bocca del suo stesso editore, Arthur Sulzberger, se nel 2012 sarà ancora stampato, non va certo meglio per altre storiche testate come il Los Angeles Times che ha recentemente lasciato a casa altri 75 giornalisti, rimanendo con la metà ei professionisti che aveva appena 7 anni fa. O per alcune riviste "cult" come Wired, anche se in senso opposto. Stando ad alcune fonti vicine all'azienda, infatti, un primo ridimensionamento starebbe interessando la versione online della rivista con il licenziamento di circa il 10% della forza lavoro.

Per non parlare, infine, di alcuni colossi della Silicon valley, pronti a intercettare (o accelerare) la crisi dell'editoria classica. E' il caso dell'onnipresente Google, che ha recentemente siglato un accordo con la società degli editori per redimere due controversie sui diritti d'autori. BigG pagherà ben 125 milioni di dollari e avrà diritto a rendere disponibili online testi e libri. Emblematico il commento dello stesso New York Times che titola così la notizia: "Lutto per il declino dei vecchi media".

E in Italia? Che dire di quanto invece succede in Europa e nel Bel Paese? Se nel Regno Unito, BBC e Guardian in testa hanno investito molte risorse nell'online, talvolta ridisegnando completamente strategie e piattaforme, in Francia a cambiare pelle sul Web (più o meno profondamente) sono stati quasi tutti i maggiori quotidiani: Le monde, Libération, Le Figaro.

L'Italia? Sembra andare in controtendenza, principalmente rafforzando la presenza in edicola: nuovi progetti grafici, aumento di pagine di alcuni quotidiani, nuove testate, e qualche timido nuovo prodotto destinato solo all'online come la tendenza nell'ultimo anno di aprire gli archivi al pubblico da parte dei maggiori quotidiani.

Insomma: tempi di incertezza e di grandi cambiamenti non solo nel mondo finanziario ma anche in quello dell'editoria. Almeno stando a quanto sta succedendo oltreoceano, dove fra l'altro le recenti elezioni presidenziali americane hanno suggerito qualche tendenza: tra falsi ologrammi, maratone online e vendite record in edicola - e con buona pace del professor Meyer - internet sembra insomma abbia tutte le carte in regola per effettuare il sorpasso sulla carta e di tagliare il traguardo ben prima del 2043. Da vincitore.