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lunedì 9 febbraio 2009

Con il pacchetto sicurezza il governo imbavaglia la Rete




Anna Masera

E' successo di nuovo. I politici mettono mano a Internet per regolarla, e fanno danni perchè lo fanno in fretta e furia
senza chiedere pareri agli addetti ai lavori e trattando la Rete come se fosse un qualsiasi mezzo di comunicazione: ma ormai dovrebbe essere chiaro che la materia è delicata e richiede competenza...
Bastava sentire un giurista esperto della materia come Stefano Rodotà, o Giuseppe Corasaniti, o Guido Scorza, o Daniele Minotti... I politici, con gran parte dei media tradizionali silenti, indifferenti, ignari o peggio ancora compiacenti, ci stanno scrivendo le regole per comunicare nel digitale, e noi Netizens se non ci svegliamo e non ci mobilitiamo per tempo rischiamo di arrivare troppo tardi e di diventare dei fuori-legge.

L'articolo 50-bis del disegno di legge 733, noto come il "pacchetto sicurezza", passato ieri al Senato e che deve essere adesso sottoposto alla Camera, costringe gli Internet provider a filtrare i contenuti a caccia di istigazioni a delinquere e apologie di reato, e Facebook in Italia rischia di non poter più proseguire la sua avventura.

L'emendamento, introdotto dal senatore dell'Udc Gianpiero D'Alia, riguarda la "Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo Internet", che al comma 1 recita:

"Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete Internet, il Ministro dell'Interno, in seguito a comunicazione dell'autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l'interruzione della attività indicata, ordinando ai fornitori di connettività alla Rete Internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine".

Una volta emesso il decreto, gli Internet provider dovranno innescare "appositi strumenti di filtraggio" (le cui caratteristiche tecniche devono ancora essere tracciate dal ministro dell'Interno, da quello dello Sviluppo economico e quello della Pubblica amministrazione e innovazione) e isolare la pagina incriminata entro 24 ore, pena una multa da 50 mia a 250 mila euro, e l'accusa di concorso di "apologia o di istigazione in via telematica sulla rete Internet", un'imputazione punita con il carcere (articolo 414 e 414 c.cp.): da 1 a 5 anni per l'istigazione a delinquere e l'apologia di reato, da 6 mesi a 5 anni per l'istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o all'odio fra le classi sociali.

Ma secondo i giuristi esperti della materia, i reati d'opinione potrebbero sovrapporsi con la manifestazione del pensiero dell'individuo: diritto tutelato dall'articolo 21 della Costituzione. Con i fornitori di Internet costretti a setacciare la libera espressione.

Non solo: secondo gli esperti non è tecnicamente possibile filtrare Internet: la natura della Rete (quindi anche di Facebook) rende impossibile la censura, spiega Alessandro Ranellucci.

Dino Bortolotto, presidente di Assoprovider, esprime la preoccupazione di tutti gli Isp (Internet service provider): "Con la scusa di perseguire un fine nobile (perseguire un reato) si determinano misure che ledono significativamente la libertà d'impresa di chi non ha commesso alcun reato..." e lancia una provocazione illuminante: "Per catturare tutti i latitanti perchè non obbligare tutti gli esercizi pubblici ad effettuare l'identificazione e ovviamente, in caso di mancata identificazione di un latitante, erogare una multa da 50 a 250 mila euro?".

Per Paolo Nuti, presidente di Aiip, "il rischio è che anzichè concentrare l'attenzione su chi utilizza Internet per compiere reati e rimuovere i contenuti illecitamente diffusi, ci si limita a nasconderne l'esistenza a un'opinione pubblica giustamente allarmata, ma sostanzialmente inconsapevole della differenza che corre tra pull e push, tra Internet e la televisione, tra censura e sequestro...di questo passo, si rischia di ripristinare la censura delle comunicazioni interpersonali, espressamente esclusa dall'articolo 15 della Costituzione".

Su Punto Informatico oggi Stefano Quintarelli, esperto di tlc, denuncia: "L'Ict è un tema specialistico non così ampiamente noto ai parlamentari. Esiste la Fondazione Bordoni che è un thinktank in materia di tlc, che ha sempre lavorato per il ministero delle Comunicazioni. E' stata consultata? Non credo proprio che avrebbe espresso parere favorevole a un provvedimento come questo. E se non è stata consultata, sarebbe cosa buona e giusta farlo, per il futuro. Internet è uno strumento di comunicazione, non un'arma di diffusione di massa".

E nel suo blog, Quintarelli si spinge a un paradosso condivisibile, che sottoscrivo! :-) :

"Propongo di scrivere una legge che obblighi ogni ignorante tecnologico a una sanzione di 50.000 euro e alla reclusione per un massimo di anni 3, con una possibilita' di riduzione della pena in caso di rimozione immediata della propria ignoranza tecnologica mediante gli appositi strumenti.
Oppure aboliamo la commutazione di pacchetto, e non ne parliamo piu'."