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venerdì 27 giugno 2008

Addio al ".com"

Nella breve storia di Internet, la giornata di ieri sarà ricordata come una svolta epocale che cambierà drasticamente il modo in cui gli utenti navigano in Rete. Oltre 1.500 delegati da 70 Paesi si sono riuniti a Parigi per votare l’apertura di nuovi orizzonti sul Web, permettendo a partire dall’aprile dell’anno prossimo la registrazione di milioni di nuovi domini «top-level» (ossia i suffissi al termine degli indirizzi Web come .com) che allargano la mappa di Internet a nuove impensate costellazioni.

«Questi cambiamenti consentiranno a individui e società di esprimere al meglio la propria identità» ha spiegato all’assemblea annuale Paul Twomey, presidente e amministratore delegato dell’Icann («Internet Corporation for Assigned Names and Numbers»), l’organizzazione non-profit con sede in California che supervisiona l’assegnazione dei nomi a dominio e gli indirizzi Ip (protocollo Internet) che fanno comunicare le reti di computer.

L’attuale protocollo («Ipv4) che rende disponibili gli indirizzi Web scade nel 2011 e l’Icann era sotto pressione per trovare una soluzione alla crescente domanda. Un esempio? Ebay, il popolare sito di aste online, è una delle tante aziende che da tempo chiede di poter registrare un proprio nome di dominio, diverso da .com o it. Ma sono emerse richieste anche da altri gruppi di prodotti, come .banca o .auto. E persino da città, come .berlin.

Fino ad oggi tutti gli indirizzi Web erano contenuti in un numero limitato di nomi di dominio di primo livello: circa 240 geografici (come .it o .eu) e circa una ventina generici (tra i più gettonati oltre a «.com» ci sono «.net», «.org», «.gov» e «.edu»). Dal 2009 un miliardo e trecento milioni di utenti tra aziende, istituzioni e persone fisiche potranno comprare un numero illimitato di indirizzi generici basati su parole comuni (.news o .sport), marchi (.pepsi o .coke), nomi d’azienda (.ibm o, appunto, .ebay), di città (.paris o .nyc), persino nomi propri.

E in qualsiasi lingua: utilizzando quindi anche caratteri non latini, una mossa ritenuta di importanza critica per rendere Internet più accessibile agli utenti in Asia, Africa, Medio Oriente e altre parti del mondo. E affrancare Icann dalla dipendenza dagli Stati Uniti: perchè fino al 2009 l’ente - che negli anni è passato di mano ma risale a oltre vent’anni fa quando Internet incominciò a decollare negli Stati Uniti - riferisce ancora al Dipartimento del Commercio Usa. C’è un aspetto critico, tuttavia, tutt’altro che marginale: l’Icann venderà questi nuovi «territori» a carissimo prezzo. Infatti per registrare un nuovo dominio «top-Level» bisognerà dimostrare la solidità finanziaria e la competenza tecnica del richiedente. E - anche per arginare il fenomeno del «cyber-squatting», cioè che chiunque registri un indirizzo Internet scippando i nomi altrui (utilizzando come estensione, per esempio, una marca molto nota, o il nome di una celebrità) - costerà tra i 100 mila e i 500 mila dollari. Una manna, per l’organizzazione che ha bisogno di finanziarsi per migliorare il supporto tecnologico alla Rete. Ma non si tratta certo di un’operazione alla portata di tutti.

In cambio, l’Icann sta per sfornare finalmente l’«IPv6», la tanto attesa nuova versione del protocollo Internet che succede a IPv4 con nuovi servizi e una più semplice configurazione e gestione delle reti Ip. Una specie di Internet 2.0. La sua caratteristica più appariscente sta nelle cifre, davvero astronomiche: gestisce fino a circa 3,4×1038 indirizzi, mentre IPv4 ne gestisce «soltanto» fino a circa 4 miliardi (4×109).

«Quantificando con un esempio, per ogni metro quadrato di superficie terrestre, ci sono 666 mila miliardi di miliardi di indirizzi IPv6 unici, ma solo 0,000007 IPv4 (cioè solo 7 IPv4 ogni milione di metri quadrati)» spiega Vint Cerf, uno dei padri fondatori di Internet, che ha ribadito anche la necessità di separare infrastrutture e servizi per garantire la neutralità e la trasparenza della Rete, cioè lo stesso trattamento dei dati per tutti, sempre e ovunque.