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lunedì 17 marzo 2008

Privacy, Rfid e Dna: quanti rischi nel pantano del social networking

YouTube, MySpace, Bebo, Facebook: il numero dei social network cresce a vista d'occhio. In alcune fasce d'età la penetrazione di questi siti si approssima al 90 per cento degli utenti. E, particolarmente tra i più giovani, sono diventati una sorta di piazza elettronica. Un posto dove ci si mette in mostra creando personalità più o meno fittizie con l'intento di lasciare un marchio indelebile sull'universo digitale.

Questo per esempio significa che negli Stati Uniti oltre 12 milioni di adolescenti tra i 12 e i 17 anni - una crescita del 15 per cento rispetto all'anno scorso - passano tra le 12 e le 14 ore settimanali scambiandosi informazioni coi coetanei o costruendo e amplificando la loro personalità virtuale. Sono per l'appunto la capillarità di questi network e il tipo di informazioni che i giovani mettono online a preoccupare gli esperti della privacy. E adesso che sul social networking è arrivato anche il Dna i timori assumono una dimensione primordiale.

A rischiare di essere violati a questo punto non sono più solo i pensieri, gli scritti e le foto di una persona ma è la sua parte più intima: le sequenze di Dna che ne istruiscono la forma corporea e la funzione degli organi. Di recente infatti aziende come Ancestry.com (un sito per le ricerche genealogiche online con oltre 15 milioni di abbonati), DecodeGenetics.com e 23andme.com (creata dalla moglie di Sergey Brin, cofondatore della Google con capitali della casa di Mountain View), hanno lanciato l'idea che oltre alle preferenze multimediali di un abbonato, il social networking possa avere come momento unificante anche il Dna dei suoi utenti.

Come funziona? Presto detto. Sborsando circa 200 dollari (nel caso di 23andme.com circa 1000), e fornendo un campione della saliva a questi siti zigotici (così li hanno soprannominati in America), coloro che lo vogliano possono farsi sequenzializzare il Dna e scoprire da dove arrivano i loro antenati, quale fu il percorso che seguirono in uscita dall'Africa e dove si fermarono lungo la strada. I più avventurosi poi caricando il loro profilo genetico in aree ristrette dei vari siti riescono a confrontarlo con quello degli altri membri del network. In questa maniera possono scoprire se condividono sequenze genetiche con altre persone e nel caso di risposta positiva dove queste si trovano nel mondo. E se si scopre la corrispondenza, s'è trovata una relazione familiare. Quanto alla protezione della privacy degli abbonati, i nomi di quelli nati negli ultimi 100 anni non vengono mai pubblicati. Per ottenerli bisogna contattare gli amministratori del sito. E' sufficiente?

Tutte caratterizzate da una propria visione del futuro del social networking di stampo genetico, le ditte in questione sono convinte della possibilità che nel futuro questo tipo di ricerca possa diventare un elemento di costume diffuso a livello di massa. Secondo dati rilasciati dal Pew Internet and American Life Project, al momento oltre un quarto degli utenti internet (un centinaio di milioni di persone solo in America settentrionale) conduce ricerche genealogiche sul web e un numero crescente sta cominciando ad usare il na per reperire informazioni introvabili in altra maniera. Questo è il caso per esempio degli afro-americani che a causa dello schiavismo hanno difficoltà a risalire alle loro origini. Il Dna è utile anche nel caso dei profughi dell'Europa dell'est, degli ebrei e degli armeni. "Tutti quelli che hanno aree d'ombra nella storia familiare, quindi una buona parte degli esseri viventi contemporaneamente, finiranno con l'usare questo metodo", ha dichiarato Dick Eastman, esperto di genealogia in linea.

Non deve sorprendere quindi che, alla luce di questi dati, il dibattito sulla sulla sicurezza delle informazioni pubblicate dai network sociali stia generando una valanga di stampa. Di recente sono per esempio emerse preoccupazioni sulla possibilità che i vari software possano essere coniugati con qualche nuovo stratagemma tecnologico ed impiegati per controllare i movimenti delle persone.

In questo senso per esempio si sviluppa una ricerca condotta dall'Università di Washington dove un gruppo di ricercatori del Paul Allen Center for Computer Science and Engineering sta usando il social networking e le RFID, le radio frequency identification tag (etichette elettroniche che possono essere identificate via radio) per creare internet delle cose, o per meglio dire internet in cui una persona è in costante collegamento elettronico con l'ambiente che la circonda e gli oggetti che possiede. E mentre rende sicuramente più facile il ritrovamento degli oggetti smarriti, rende pure possibile che le stesse etichette - leggibili senza l'autorizzazione del loro proprietario - possano essere usate per scoprire dove si trovi una persona in qualsiasi momento della giornata.

"Il nostro obiettivo è ovviamente quello di capire che tipi di vantaggi ci può offrire questo tipo di tecnologia", ha dichiarato Magda Balazinska, leader del progetto, "ma allo stesso tempo anche quello di capire come facciamo a proteggere la privacy della gente". E così i ricercatori hanno evitato di piazzare sensori RFID nelle vicinanze dei bagni publici e delle mense, aree ritenute generalmente private.

L'altro aspetto è quello dell'abbassamento della soglia di sensibilità etica e morale degli utenti dei social network, un fenomeno questo particolarmente evidente tra i più giovani. "E' innegabile che l'uso dei social networks stia cambiando la moralità tra i giovani acuendone il grado di elasticità", ha affermato di recente Parry Aftab, avvocato esperta di sicurezza internet. E infatti, secondo ricerche condotte dal Quad City Time, la stragrande maggioranza degli adolescenti pensa che sia lecito creare una personalità fittizia per navigare il web, e la quasi totalità non esita a mentire sulla propria identità quando discute online con altre persone. Ma questa misura, quando presa con l'intento di proteggere la propria privacy, non basta certamente a schermare l'adolescente - e la sua famiglia - dai problemi che possono emergere da un uso malaccorto del social networking.

Negli Stati Uniti un numero crescente di genitori sta perdendo il lavoro o finendo addirittura in carcere a seguito di rivelazioni fatte dai loro figli sui vari siti sociali. "E' un problema crescente gli adolescenti in generale non se ne rendono nemmeno conto", aggiunge la Aftab: "Ho rappresentato un sacco di gente che è finita nei guai a causa di quello che i figli hanno publicato sul loro profilo pubblico. I giovani non capiscono che tutto quello che mettono online diventa indistruttibile e può essere visto da chiunque in un qualsiasi momento. Il mio suggerimento è che se si tratta di cose che i genitori, i presidi o i pedofili non possono vedere allora è meglio non metterle sul web".

Un suggerimento questo che gli adolescenti non seguono certamente alla lettera. Secondo dati resi noti dal Pew Internet & American Life Project negli USA il 65 per cento dei giovani che usano il social networking sono convinti che una persona determinata può rintracciarli con relativa facilità e sebbene i vari siti adesso offrano tutti la possibilità di restringere l'accesso al proprio profilo, solo il 66 per cento blocca l'accesso agli estranei. Una scelta non tanto saggia quando si pubblicano commenti del tipo: "Devo vivere con quella scocciatrice di mia madre e quel drogato di mio padre, e sono ambedue alcolizzati".

Sono proprio posting come questi che vengono usati da investigatori come il sergente Corey MacDonald, esperto di sicurezza internet della Portsmouth High School per individuare i giovani che rischiano di mettersi nei guai. "Ci si impiega poco tempo a circoscrivere l'area geografica dalla quale viene il posting e poi individuare la persona con l'aiuto di uno dei tanti motori di ricerca è cosa fatta", afferma MacDonald. Uno di questi motori è per esempio bigulo.com, che può essere usato per trovare l'indirizzo di qualsiasi utente di bebo.

Così intere scuole adessso proibiscono ai loro studenti di abbonarsi a qualsiasi social network usando un computer o una posta elettronica scolastica. In altre la proibizione si estende ai blog e alla pubblicazione di informazioni personali sul network scolastico. Ma non solo. Le università e i datori di lavoro stanno controllando sui social network per vedere se uno studente ha mai scritto cose di cui si debba vergognare. In alcuni casi interi gruppi di atleti sono stati squalificati da competizioni sportive dopo aver pubblicato messaggi o foto inappropriate su uno dei vari social network.

Anche gli stessi network cercano di affrontare il problema. MySpace, per esempio, lo fa lanciando campagne per la sicurezza online degli adolescenti. E malgrado queste misure siano d'aiuto, esperti di sicurezza come Aftab e MacDonald sostengono che per una prevenzione efficace è il coinvolgimento dei genitori che produce i risultati migliori. "I genitori si dovrebbero andare regolarmente sui siti dei loro figli per controllare che non sia stato pubblicato niente di rischioso o sconveniente", conclude la Aftab.

Letto su la Repubblica.it